Respirazione forzata o anticorpi vaccinali?
Come In/ARCH Sicilia riproponiamo la questione della progettazione dell’area degli ex ospedali S. Marta-Villermosa e Vittorio Emanuele a Catania, sviluppando di seguito alcuni punti che ci sembrano nodali per diversi aspetti in essa implicati.
Partiamo da una metafora ammiccante all’imperante discussione sull’emergenza pandemica: lo stato della città di Catania come un corpo giunto in sala rianimazione e per il quale si aprono due possibilità: un’applicazione terapeutica energica ma debilitante e soprattutto totalmente affidata ad agenti esterni e meccanici; oppure una stimolazione per inserimento di anticorpi vaccinali che mirano ad attivare reazioni endogene, durevoli. È a quest’ultima possibilità che assimiliamo i punti di seguito esposti, parte di una più complessiva riflessione e proposta che, in un reale ed aperto confronto, veda concorrere le energie della città.
La procedura: legittimità ed opportunità
La strada del confronto concorsuale (e nel caso in questione, proprio perché si è ancora alla ricerca di una soluzione, anche del concorso di idee) ci appare, alla luce di quanto sempre da In/ARCH sottolineato in sedi locali e/o nazionali e con riferimento alle migliori pratiche ormai consolidate, come l’unica tutt’ora legittima, perseguibile ed attivabile. Chiediamo che su questa si proceda anche in coerenza con la Nota del Dipartimento regionale tecnico – Ufficio del Genio Civile, prot. n.81040/2020, con la quale la stessa Regione nel luglio scorso ha previsto, in accompagnamento alla fase di demolizione dell’Ospedale S. Marta, proprio l’espletamento di un concorso per la progettazione.
Il committente, anche pubblico, ha ovviamente, entro il quadro delle normative vigenti, piena facoltà di scegliere le procedure per l’affidamento ed espletamento di incarichi di progettazione. Alla legittimità formale della scelta di una procedura lo stesso committente deve però accompagnare anche la valutazione della sua opportunità; essa, anche in riferimento al livello di partenza dell’incarico (progetto di fattibilità tecnico-economica, progetto definitivo e progetto esecutivo) è determinata dallo stato delle conoscenze e dalla chiarezza di obiettivi perseguiti dall’intervento; ed è inoltre determinata dalla rilevanza dello stesso intervento entro il contesto in cui è previsto e dalla sensibilità di questo.
Appare chiaro che la procedura concorsuale di cui parliamo non è solo un atto formale, replicabile a piacimento con l’uso di modelli prestampati; ad essa si perviene (non differentemente da altre modalità di incarico, ma forse con una maggiore responsabilità nei confronti della città e della comunità cui si rivolge l’intervento in oggetto) costruendo un quadro di conoscenze e valutazioni che indirizzano il progetto, ponendo ad esso obiettivi sostenibili e condivisi. La costruzione di tale quadro è uno dei compiti essenziali per lasciare poi autonomia al progettista (o al confronto di progettisti) di sviluppare ed offrire la propria idea.
Il progetto, il patrimonio e l’ambito in oggetto
Chiediamo progetti che, sotto l’incontestabile regia pubblica, si confrontino con obiettivi chiari ed ampi di rinnovamento (attraverso una attiva tutela ma anche attraverso interventi radicali) della parte antica della città. Non la miope sommatoria di piccoli interventi, privi di prospettiva, ma un virtuoso richiamarsi e connettersi di progetti sapienti e realmente innovativi del sensibile contesto in cui si inseriscono.
Le parti antiche delle città sono quelle in cui più complessa e stratificata appare la coesistenza di morfologia urbana, ambiente, reti di relazioni e vita di residenti e cittadini (a vario titolo). La gestione del centro storico si assimila invece spesso ad un mero groviglio di vincoli e limiti all’azione di trasformazione che non ne riconosce la natura di parte vivente della città (così lo interpretano, almeno nei loro esiti normativi, piani e azioni di organi come le Soprintendenze, così nei Piani Paesaggistici e negli Studi di dettaglio ai sensi della LR 13/2015). Come se gli esiti della città fossero definitivamente dati e da conservare il suo rinnovamento non necessitasse invece di sempre nuova progettualità (anche e prioritariamente finalizzata alla tutela).
Catania ha la fortuna di avere una città antica ancora densamente popolata e sede di istituzioni di rilievo; i progetti e gli sviluppi di questo essenziale ambito concorrono a conferire nuova qualità e valore all’intera città. Occorrono, anche e proprio qui, spazi aperti, piazze, giardini per l’infrastruttura ecologica della città; occorrono nuovi luoghi e architetture; occorre favorire e stimolare la vita che tali forme abita e motiva. Tutto questo richiede (anche aprendo luoghi deputati al confronto) una gestione impegnativa, sapiente e complessa che proprio le istituzioni pubbliche sono per loro natura chiamate ad assolvere.
IL PROGRAMMA NECESSARIO
Chiediamo un programma vero di rinnovo della città storica; un piano che può partire da un’area strategica circoscritta (quale migliore occasione della dismissione del comprensorio ospedaliero) e che anticipi il PUG della città (il Piano Urbanistico Generale della LR 19/2020) raccogliendo le energie e utilizzando questa occasione come pilota per il suo rinnovamento, fisico-morfologico, gestionale, economico.
Non abbiamo dubbi che rinnovamento non sia riportare fantasiosamente l’orologio indietro, senza dare risposte ad una città che è cambiata a partire dalla perdita o dal nuovo instaurarsi di essenziali funzioni. Il patrimonio edilizio degli ex-ospedali consiste in immobili e plessi più antichi (prevalentemente otto-novecenteschi), ricompresi nei recinti del Vittorio-Emanuele e del S. Marta-Villermosa, e in edifici più recenti; il ragionamento che l’azione in corso da parte della Regione propone alla città (ed alle diverse città in cui la dismissione del patrimonio del Servizio Sanitario regionale è prevista) è semplicisticamente l’eliminazione di tutto quanto al nucleo originario sia seguito: corpi di fabbrica recenti e superfetazioni, sorti ex-novo o anche in sostituzione di precedenti edifici (a loro volta demoliti o in essi inglobati). Trascurando con ciò ragionamenti più complessi sulle future destinazioni dell’area e trascurando anche il valore economico che gli edifici in demolizione possono rivestire entro il capitale sociale della città, trasformandoli ad esempio, con una gestione accorta e lungimirante (un’economia circolare urbana?), in diritti edificatori che l’amministrazione può utilizzare per indirizzare e favorire operazioni urbanistiche di interesse pubblico (con ciò costituendo anche una specifica voce nel proprio bilancio, dissestato e da ricostruire).
Muovendo dalla sola ipotesi di demolizione viene annunciata dalla Regione una esile e non meglio strutturata previsione di destinazione museale; destinazione che, ci pare opportuno ricordare, in ambiti urbani non distanti è attribuita ad altri edifici di proprietà regionale da tempo chiusi e sottratti alla fruizione pubblica ed alla possibilità di apportare valore (culturale, economico, funzionale) alla società ed alla città (tra gli altri l’Istituto di incremento ippico, l’Ex-convento dei Gesuiti, l’Ex- Manifattura Tabacchi).
Questo non è un programma. Occorre ora definire, e non estemporaneamente, strategie, opportunità e risorse per rinnovare la città; occorre ora operare con strumenti di pianificazione conformati sulla città e non a priori definiti, alla realizzazione dei cui obiettivi chiamare in causa le migliori forze; occorre ora concentrare prioritariamente su questi le necessarie risorse, stimolando ed costruendo partenariati di progetto; occorre ora su coerenti e lungimiranti azioni chiedere e guadagnarsi la proficua collaborazione della città.
Catania ha volontà, risorse, competenze ed energie per tutto questo?