Venerdì 15 aprile alle ore 17:30 all’interno del Giardino di Via Biblioteca a Catania, si terrà la presentazione della riedizione del romanzo “Progetto Kalhesa” scritto da Giancarlo De Carlo e firmato con lo pseudonimo Ismé Gimdalcha, pubblicato da Edizione di Storia e Studi Sociali. “Progetto Kalhesa” uscito per la prima volta nel 1995 (Marsilio Edizioni) è stato ripubblicato nel 2015 dalla casa editrice siciliana Edizioni di Storia e Studi Sociali in occasione del decennale dalla morte di Giancarlo De Carlo.
Officine Culturali, Inarch Sicilia, Ellenia +3, in collaborazione con l’Università degli Studi di Catania vogliono infatti raccontare o riscoprire l’opera letteraria dell’Architetto della Partecipazione che ripercorre le tappe di una vicenda accaduta negli anni ’70 e ormai quasi del tutto dimenticata. Questo appuntamento è necessario per poter tornare a parlare di De Carlo e del suo rapporto con la Sicilia, con le sue città. La riscoperta spinge alla libera lettura del testo e alla raccolta spontanea di adesioni all’evento; la scelta del luogo della presentazione, il Giardino di Via Biblioteca del Monastero dei Benedettini, non è casuale, ma si vuole riparlare delle forme (non solo fisiche) della città partendo proprio da una delle opere più controverse che l’architetto ha realizzato per la città di Catania (in caso di pioggia o forte vento l’incontro si terrà presso il bookshop del Monastero dei Benedettini).
Ismè Gimdalcha scrive una cronaca dettagliata ciò che avviene in una città, Kalhesa, situata in un isola calda e calorosa, Silenia, in occasione di un suo possibile risanamento che avrebbe toccato il centro remoto. Ismè si imbatte però in personaggi ambigui che hanno fatto della gestione di Kalhesa e, di conseguenza di Silenia, il luogo in cui regna l’immobilismo necessario all’accaparramento, una coltura in cui fare crescere a dismisura gli interessi personali di pochi a discapito dei molti. Kalhesa è una città apparentemente immaginaria e immaginifica perché “Kalhesa non esiste, ma è dappertutto”. Il tempo del romanzo è scandito da un calendario possibile, in parte arabo, in parte babilonese: mese dopo mese, anno dopo anno, per tre lunghi anni, Ismé ci scaraventa in una realtà apparentemente lontana e impossibile che però diventa sempre più vicina, sempre più veritiera.
Ismé è De Carlo, Kalhesa è la bella e immobile Palermo, il libro è una maschera, come dice nelle note introduttive l’urbanista Edoardo Salzano: De Carlo chiamato da Giuseppe Samonà a Palermo per la stesura del piano di risanamento del suo centro storico, ancora pieno di ferite profonde lasciate dalla guerra e dalla barbarie compiuta tra gli anni 60-70 con le “colate di cemento” e “le mani sulla città”. Ismé-De Carlo ne descrive le atmosfere fumose e ovattate in maniera fredda e distaccata, esprimendo spesso la volontà di abbandonare il lavoro, perché quelle atmosfere, quei modi di agire, sono lontane dall’integrità e dall’altezza morale dei lavori che l’architetto urbanista era solito affrontare, eppure continua a ritornare a Kalhesa, a sperare in un futuro diverso per Palermo. Il lettore può giocare a rimettere insieme i tasselli, a ricollegare date, nomi, istituzioni statali e istituzioni criminali, a riconoscere le città di Silenia. Oppure il lettore può godersi la lettura di una scrittura densa, appassionata, come De Carlo sapeva fare, ricca di parole inventate, in un tempo inventato di una città inventata. Sono chiare le influenza delle città invisibili di Calvino e delle città del mondo di Vittorini, gli scrittori con cui De Carlo trascorse “la fase più felice della sua vita”.